Tra le pietre di Civitaretenga si nasconde la storia di un passato non facilmente leggibile, quello di un antico ghetto, nella zona nota agli abitanti come ru bbùscë, anche se “ghetto” non è il toponimo corretto, trattandosi di un insediamento precedente al primo ghetto della storia, quello di Venezia. La presenza ebraica si ricollega alla piccola economia rurale della zona: la destrezza da sempre mostrata nei commerci di prodotti contadini, come la lana, trovò grande slancio con la ricercata produzione di zafferano, arrivato nella zona di Navelli all’inizio del XIV secolo grazie al monaco domenicano dal tipico cognome navellese, Santucci.
L’apertura della società dell’epoca permise alle famiglie ebree di acquistare abitazioni e avviare proprio a Civitaretenga una piccola comunità, testimoniata dalla toponomastica di via e piazza Giudea, con case mura addossate una sull’altra, ricche di passaggi coperti e portici, luoghi ottimi per le loro fiorenti botteghe. La piccola zona abitativa era in pratica una sola stradina, con due ingressi ben definiti e all’occorrenza costruibili con apposite porte, forse per custodire i loro tesori all’interno e garantire sicurezza.


Una comunità di certo non povera, animata anche da una sinagoga, affacciata su Piazza Giudea, nell’attuale palazzo Perelli, che beneficiava della vicinanza del tratturo. La ricchezza e prosperità non durarono purtroppo per molto: come a più riprese in tutta Europa, anche la comunità ebraica del piccolo borgo cadde in disgrazia e fu osteggiata.
È in questo periodo che si fa risalire la nascita dei primi “monti di pietà”, precursori del microcredito delle moderne banche, cui si ispira anche la celeberrima banca senese, il Monte dei Paschi, e sembra che un monte di pietà doveva ospitare anche la piccola comunità di Civitaretenga, proprio per venire incontro ai contadini che non potevano far fronte ai prestiti concessi dai commercianti ebrei.
Nel frattempo, quelle stesse porte che li avevano difesi furono presto utilizzate per tenerli separati e rinchiusi durante la notte. In tante altre zone, gli ebrei non poterono più possedere terreni, solo case, e presto neanche quelle. Tra il XV ed il XVI secolo, anche grazie ai richiami di San Giovanni da Capestrano e di San Bernardino da Siena, furono accusati di usura, additati come responsabili di quello che ritenevano uno dei peggiori mali del mondo, fino ad arrivare al decreto di espulsione del 1510. Il ghetto diventa così un piccolo territorio da colonizzare, nel quale cancellare le tracce di una fede diversa e in netta contraddizione con il cristianesimo.
Ecco che via e piazza Giudea diventano via e piazza Guidea, mentre ancora oggi possiamo scorgere il portale in pietra di palazzo Perelli che si sovrappone ad un più antico arco, così come semplici piccole porte con architrave in pietra montato su un vecchio architrave, e più che altrove imperare il Cristogramma IHS – Iesus Hominum Salvator tanto amato proprio da San Bernardino, a sottolineare come quelle fossero da quel momento case di cristiani e non più di ebrei. Il ghetto è rimasto nel corso degli anni, ed in particolare a partire dal secondo dopoguerra, progressivamente disabitato, quasi totalmente diroccato, finché non si è cercato di mettere un freno a questo stato di abbandono con un ambizioso progetto di recupero avviato dal Comune di Navelli.
Ad interrompere tale processo di risanamento, il sisma del 2009, che ha distrutto in maniera significativa i bellissimi scorci che ci regalavano il ghetto e la vicina torre medievale, completamente crollata, e che ha intrappolato il ghetto in una zona rossa.